Che cos’è la terapia Metacognitivo-Interpersonale

La Terapia Metacognitivo-Interpersonale (TMI) è un modello di psicoterapia sviluppato presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma nella seconda metà degli anni ´90. Questo trattamento è nato all’interno di un programma di ricerca che coniugava alcune osservazioni cliniche, condotte principalmente su pazienti con disturbi di personalità e schizofrenia, con i nuovi sviluppi della ricerca scientifica, in particolare della scienza cognitiva. Più precisamente, il progetto di ricerca si è sviluppato in seguito all’osservazione di alcuni pazienti che non riuscivano a riflettere sui propri stati mentali e che, pertanto, avevano difficoltà ad identificare correttamente i pensieri e le emozioni che provavano in concomitanza con un evento. Si è osservato che queste difficoltà, presenti soprattutto in pazienti con disturbi di personalità, impedivano ai terapeuti cognitivisti di applicare le tradizionali tecniche di terapia cognitiva standard.

Il modello metacognitivo-interpersonale risponde, quindi, all’esigenza di dover trovare degli strumenti terapeutici efficaci per il trattamento dei pazienti con disturbi di personalità. Attualmente questo tipo di terapia è stato manualizzato per i seguenti disturbi di personalità: disturbo borderline di personalità, disturbo narcisistico di personalità, disturbo paranoide di personalità, disturbo dipendente di personalità e disturbo evitante di personalità. Da alcuni anni, inoltre, è in corso uno studio teso a valutare l’efficacia di questo modello d’intervento.

A cosa serve

La terapia metacognitivo-interpersonale è volta alla cura dei soggetti che presentano uno o più disturbi di personalità.

In cosa consiste la terapia metacognitivo-interpersonale

Per conoscere e curare un disturbo mentale è necessario capire in che modo i diversi elementi che lo caratterizzano interagiscono tra loro creando un funzionamento patologico stabile nel tempo.

Il modello metacognitivo-interpersonale scompone i disturbi di personalità in aree e processi di funzionamento mentale ed interviene su di essi e sui loro circuiti di rinforzo. I principali elementi presi in esame sono: stati mentali problematici, disfunzioni metacognitive, schemi e cicli interpersonali disfunzionali.

 Stati mentali problematici

Dall’osservazione clinica e da alcune ricerche emerge che il vissuto delle persone che soffrono di disturbi di personalità è solitamente caratterizzato da un insieme circoscritto di stati mentali problematici, ossia pensieri, emozioni e sensazioni fisiche disfunzionali, che rimangono stabili nel tempo e indipendenti dal mutare dei contesti.

Ogni disturbo di personalità presenta peculiari stati mentali problematici. Ad esempio, i soggetti con disturbo borderline di personalità provano frequentemente stati di vuoto, stati di ansia-minaccia e stati di rabbia, mentre coloro che presentano una diagnosi di disturbo evitante di personalità sperimentano più spesso stati di imbarazzo-vergogna e stati di estraneità-non appartenenza al gruppo.

Disfunzioni metacognitive

Per comprendere cosa sono le disfunzioni metacognitive è necessario conoscere il concetto di funzioni metacognitive o metacognizione. Il modello metacognitivo-interpersonale definisce la metacognizione come l’insieme delle abilità che consentono all’individuo di attribuire e riconoscere la presenza di stati mentali (es. emozioni, pensieri, desideri, bisogni, intenzioni) in se stesso e negli altri – a partire da espressioni facciali, stati somatici, comportamenti ed azioni -, di riflettere e ragionare su di essi e di utilizzare tali conoscenze per prendere delle decisioni, risolvere i problemi interpersonali, padroneggiare la sofferenza soggettiva e negoziare efficacemente i propri desideri e scopi con gli altri.

La metacognizione, quindi, è un processo di riflessione cosciente, dove la conoscenza psicologica di sé e dell’altro è utilizzata in modo consapevole ed intenzionale. Più specificamente, la funzione metacognitiva si attiva nel momento in cui l’individuo riflette e ragiona su sé o sugli altri, usando delle informazioni che sono riferite a specifici stati mentali che riguardano eventi accaduti in uno spazio e in un tempo ben precisi. La metacognizione va, quindi, distinta da quella che viene definita pseudo-metacognizione, ossia dalla tendenza a fornire spiegazioni generiche e stereotipate del comportamento dell’altro. Ad esempio, se una persona dice: “il mio compagno è arrabbiato perché è un tipo nervoso”, sta interpretando la rabbia dell’altro usando un tratto generico di personalità e non spiega il vero motivo per cui la  persona si è arrabbiata in quel momento; in questo caso, quindi, si parla di artefatto pseudo-metacognitivo. Se, invece, la persona afferma: “il mio compagno si è arrabbiato perché gli ho detto che non voglio più andare in vacanza con lui”, vuol dire che sta spiegando la rabbia dell’altro attraverso un dato contingente e, quindi, sta utilizzando la funzione  metacognitiva.

Da alcune ricerche scientifiche condotte presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva emerge che la metacognizione non è una funzione unica, ma è composta da varie abilità o sotto-funzioni. Le abilità metacognitive possono essere suddivise in tre aree: abilità metacognitive che consentono di riflettere e ragionare su se stessi (Autoriflessività), abilità metacognitive che permettono di riflettere e ragionare sugli stati interni ed il comportamento delle altre persone (Comprensione della Mente Altrui – CMA) e abilità metacognitive che consentono di gestire gli stati mentali problematici (Funzioni di Mastery).

Dall’osservazione clinica e dai risultati di alcune ricerche scientifiche è emerso che i pazienti con disturbi di personalità presentano rilevanti difficoltà nel funzionamento metacognitivo. Inoltre, è emerso che i pazienti psichiatrici che presentano numerose disfunzioni metacognitive sono anche quelli che sviluppano una maggiore gravità dei sintomi, una più seria compromissione del funzionamento sociale e lavorativo e un disagio interno più elevato.

Le difficoltà del funzionamento metacognitivo dei pazienti affetti da disturbi psichiatrici possono essere sottoposte a trattamento in quanto non sono causate da un danno biologico, ma da una carenza funzionale. Gli individui con questo tipo di difficoltà, infatti, conservano da un punto di vista organico le caratteristiche neurologiche necessarie allo sviluppo di queste abilità.

Una persona con un disturbo psichiatrico grave, quindi, attraverso la psicoterapia può sviluppare le abilità metacognitive di cui è carente e progressivamente utilizzarle per effettuare delle scelte autonome, gestire i sintomi e gli stati di sofferenza soggettiva, pianificare il raggiungimento di scopi e desideri e regolare i conflitti interpersonali.

 Schemi e cicli interpersonali disfunzionali

La sofferenza delle persone con disturbi di personalità è alimentata dalla presenza di specifiche dinamiche relazionali disfunzionali, definite i cicli interpersonali problematici. In particolare, chi presenta questo tipo di patologia si relaziona all’altro con una serie di aspettative negative, rigide e pervasive, che generano atteggiamenti e reazioni emotivo-comportamentali coerenti con le proprie previsioni. Questo circuito relazionale, pertanto, conferma nella persona le proprie aspettative e mantiene stabile nel tempo le condizioni da cui origina l’attivazione del ciclo interpersonale disfunzionale.

Dall’osservazione clinica emerge che esistono dei cicli interpersonali disfunzionali tipici per ogni disturbo di personalità. Un soggetto con un disturbo borderline di personalità, ad esempio, in seguito ad esperienze realmente accadute, può aspettarsi, in modo più o meno consapevole, che le persone lo tratteranno con indifferenza e trascuratezza.

I cicli interpersonali disfunzionali si possono attivare ripetutamente e mantengono nel tempo la sofferenza e le difficoltà relazionali anche perché spesso non sono riconosciuti come un problema da parte dell’individuo.

Gli obiettivi e le procedure del trattamento

 La terapia metacognitiva-interpersonale mira essenzialmente ad incrementare nel paziente il funzionamento metacognitivo, al fine di favorire sia il riconoscimento ed il padroneggiamento degli stati mentali problematici,  sia il miglioramento delle relazioni interpersonali. Un prerequisito fondamentale per il raggiungimento di tali obiettivi è la costruzione di una buona alleanza tra paziente e terapeuta.

Obiettivi e procedure del trattamento

  • Incremento della metacognizione

Per migliorare le funzioni metacognitive del paziente, il terapeuta procede per gradi.

Inizialmente il terapeuta cerca di aiutare il paziente a costruire una memoria autobiografica chiara, dettagliata e ben localizzata nello spazio e nel tempo. Successivamente tenta di accedere alle emozioni ed ai pensieri problematici del paziente; quando il paziente ha chiari i propri contenuti problematici, il terapeuta cerca di promuovere in lui la consapevolezza delle cause delle emozioni, dei pensieri e delle azioni.

Raggiunti questi obiettivi, si tenta di aiutare il paziente a considerare le proprie idee come ipotesi, piuttosto che come verità assolute, e a comprendere come molta sofferenza sia causata dalla propria visione del mondo; in altre parole, si cerca di sostenere il paziente nella costruzione di letture alternative e più attendibili della realtà.

Successivamente il terapeuta tenta di promuovere la formazione di rappresentazioni integrate dei molteplici aspetti del Sé nella relazione con gli altri, che includono sia i propri aspetti problematici, che le proprie capacità adattive. In questo modo, il paziente può iniziare ad accettare i propri limiti e a sperimentare modalità di funzionamento più congrue e soddisfacenti.

  • Riconoscimento e padroneggiamento degli stati mentali problematici

I pazienti con uno o più disturbi di personalità hanno difficoltà a sperimentare stati mentali piacevoli (es. un paziente, nel tentare di entrare in uno stato di rilassamento, può immediatamente sperimentare un senso di colpa). La terapia metacognitivo-interpersonale, dunque, cerca di favorire nei pazienti l’identificazione degli stati mentali problematici, facilitando la loro integrazione nella vita quotidiana e favorendo l’accesso a esperienze soggettive più gradevoli e positive.

  • Costruzione e miglioramento della relazione terapeutica

Il terapeuta cerca di instaurare col paziente una relazione gradevole e paritetica e di prevenire, o eventualmente riparare, le possibili rotture dell’alleanza terapeutica. In particolare, il terapeuta cerca di promuovere una buona qualità edonica della relazione e di creare un clima di condivisione con il paziente, contraddistinto da un assetto emotivo equilibrato e stabile.

I passi principali che il terapeuta deve compiere per migliorare la relazione con il paziente sono:

  1. a) identificare gli schemi relazionali (rappresentazioni di sé con l’altro) prevalenti che emergono sia nei racconti del paziente, che nell’interazione tra paziente e terapeuta;
  2. b) modulare le proprie reazioni, valutando i possibili effetti negativi delle sue risposte sulla relazione terapeutica;
  3. c) individuare temi condivisi con il paziente;

d)favorire la consapevolezza degli schemi problematici (rappresentazioni problematiche di sé, dell’altro e di sé con l’altro), al fine di promuovere la costruzione di un Sé-autosservante in grado di monitorare il proprio mondo interno e capace di promuovere gli aspetti più adattivi e positivi della propria personalità.

Quest’ultimo punto costituisce la base per l’arricchimento del sé, attraverso il quale il paziente amplia le modalità di relazione e la gamma degli affetti, e utilizza le nuove conoscenze di sé per affrontare il mondo con maggiore flessibilità e minore sofferenza.