Disturbo Dissociativo Non specificato
Questa categoria si applica quando si manifestano sintomi caratteristici di un disturbo dissociativo che causano disagio clinicamente significativo o compromissione nell’area sociale, lavorativa, o in altre importanti aree del funzionamento, ma non soddisfano pienamente i criteri per una delle classi diagnostiche dei disturbi dissociativi. Rientrano in questa categoria i disturbi in cui la manifestazione predominante è un sintomo dissociativo (per es. una alterazione delle funzioni usualmente integrate della coscienza, memoria, identità o percezione dell’ambiente), che però non soddisfa i criteri per nessuno dei Disturbi Dissociativi specifici.
Esempi:
- quadri clinici simili al Disturbo Dissociativo dell’Identità che non soddisfano pienamente i criteri per questo disturbo. (per esempio quando non vi sono due o più distinti stati di personalità, oppure non si verifica amnesia per le notizie personali importanti).
- derealizzazione non accompagnata da depersonalizzazione.
- stati di dissociazione che si manifestano in persone sottoposte a periodi di persuasione coercitiva prolungata e intensa (per esempio lavaggio del cervello,).
- disturbo dissociativo di trance: alterazioni singole o episodiche dello stato di coscienza, dell’identità o della memoria che sono abituali in certe aree e culture. Disturbo da Trance Dissociativa, alterazione temporanea e marcata della coscienza o del senso abituale di identità, senza emersione di identità alternative. È caratterizzato da restrizione della consapevolezza riguardo all’ambiente circostante e comportamenti o movimenti stereotipati (urla, vertigini, pianto), con modificazioni estreme ed improvvise del controllo motorio e sensorio. Disturbo da Trance di Possessione, alterazione temporanea e marcata della coscienza con assunzione di un’identità alternativa distinta, di solito una divinità, un antenato, uno spirito con comportamenti complessi e successiva amnesia.
Trattamento
Il trattamento raccomandato per la cura dei Disturbi Dissociativi è la psicoterapia, con lo scopo principale di ricondurre il paziente verso un migliore funzionamento integrato. Il terapeuta promuove l’idea che tutte le identità alternative rappresentino tentativi di adattamento per far fronte o padroneggiare le difficoltà incontrate dal paziente, e agisce aiutando le identità a conoscersi l’una con l’altra, accettandosi come parti legittime del sé e negoziando per risolvere i loro conflitti.
Oltre alla psicoterapia individuale, i pazienti possono beneficiare d’interventi specifici come la terapia dialettico-comportamentale DBT (Linehan, 1993a, 1993b), la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR; Shapiro, 2001), la psicoterapia sensomotoria (Ogden et al., 2006), le terapie di gruppo.
La terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan è un trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato che prevede il potenziamento di quelle abilità in cui il paziente risulta carente, in particolare la regolazione delle sue intense emozioni negative, e sembra essere particolarmente indicato per le persone che presentano atti autolesivi e suicidari. Il fondamento del trattamento è aiutare i pazienti a ridurre al minimo i comportamenti che sono pericolosi per sé o per gli altri o che li rendono vulnerabili alle vittimizzazioni da parte di altri. Tali condotte includono: comportamenti suicidari e parasuicidari, abuso di sostanze e alcool, relazioni violente, disordini dell’alimentazione, violenza o aggressioni e comportamenti ad alto rischio.
La desensibilizzazione e il ricondizionamento dei movimenti oculari (Eye Movement Desensitization and reprocessing, EMDR) risulta molto utile nel modificare le distorsioni nella rappresentazione del sé, facilitando l’integrazione. L’EMDR permette al paziente di avvicinarsi al dolore in condizioni di sicurezza permettendo la temporanea disattivazione del sistema di attaccamento e la conseguente attivazione di un atteggiamento esplorativo.
La psicoterapia sensomotoria aiuta il paziente a recuperare la capacità di regolare quegli stati incontrollati del corpo che contribuiscono alla dissociazione.
In alcuni casi, per un tempo limitato, ad una terapia individuale si può affiancare la psicoterapia di gruppo al fine di aiutare il paziente a sviluppare competenze sul trauma, sulla dissociazione, assistere lo sviluppo di specifiche abilità (ad esempio, strategie di coping, abilità sociali, e la gestione dei sintomi), e permettere di capire che non è il solo ad avere a che fare con i sintomi dissociativi e le memorie traumatiche. I gruppi forniscono sostegno, la possibilità di focalizzarsi sullo sviluppo delle funzioni interpersonali e rinforzare gli obiettivi della terapia individuale. È fondamentale che questi gruppi siano a tempo limitato, ben strutturati e dichiaratamente focalizzati.
La farmacoterapia non rappresenta un trattamento di elezione in quanto non sono disponibili farmaci in grado di agire elettivamente sui sintomi dissociativi. Il ricorso alla terapia farmacologica è giustificato per ridurre la sintomatologia ansioso-depressiva, l’irritabilità, l’impulsività, l’insonnia, con il fine di raggiungere una stabilizzazione emotiva. Tra i più utilizzati: farmaci antidepressivi SSRI, più spesso utilizzati per trattare i sintomi depressivi e/o sintomi del disturbo post-traumatico da stress; gli ansiolitici utilizzati principalmente come approccio a breve termine per trattare l’ansia; i neurolettici o i farmaci antipsicotici, in particolare i nuovi antipsicotici atipici sono stati usati in dosi relativamente basse per trattare con successo l’iperattivazione, la disorganizzazione del pensiero, i sintomi intrusivi del PTSD, così come l’ansia cronica, l’insonnia e l’irritabilità.
Possono rendersi necessari ricoveri psichiatrici per aiutare i pazienti in periodi particolarmente difficili.
Il trattamento cognitivo-comportamentale
La terapia cognitivo-comportamentale risulta il trattamento privilegiato per aiutare i pazienti ad esplorare e modificare il sistema di credenze disfunzionali basate sul trauma subito ed a padroneggiare le esperienze stressanti e i comportamenti impulsivi. Le tecniche cognitivo-comportamentali sono infatti particolarmente utili per il controllo di alcuni sintomi, quali: la gestione delle attivazioni ansiose e delle crisi di ira, la ristrutturazione dei pensieri negativi, il miglioramento della comunicazione interpersonale.
Obiettivo del trattamento è un funzionamento maggiormente integrato, attraverso il lavoro sui processi mentali dissociati. Nell’ottica della terapia cognitiva-evoluzionista, si concorda ormai nell’affermare che i disturbi correlati a traumi complessi, tra cui i disturbi dissociativi, sono trattati più appropriatamente in sequenze di fasi. La struttura più comune nel campo è costituita da tre fasi.
Nella prima fase la priorità è la sicurezza, la stabilizzazione ed il rafforzamento del paziente, in vista del lavoro di elaborazione del materiale traumatico e di gestione delle personalità problematiche. Gli obiettivi includono il mantenimento della sicurezza personale, il controllo dei sintomi, la modulazione degli affetti, la tolleranza dello stress, il miglioramento delle funzioni vitali basilari e lo sviluppo delle capacità relazionali. Si ricorre spesso alla psicoeducazione, consigliando al paziente letture specifiche, fornendo informazioni e spiegazioni con lo scopo di “normalizzare” la sua esperienza. La relazione terapeutica diventa il terreno di esperienze emozionali correttive del sistema di attaccamento e di esperienza di nuove forme collaborative e paritetiche di relazione interpersonale.
Nella seconda fase il paziente viene aiutato a elaborare gli episodi dolorosi del suo passato, e a sostenere il dolore per le perdite e le altre conseguenze negative del trauma. Il lavoro di questa fase è ricordare, tollerare, elaborare ed integrare gli intensi eventi passati pianificando strategie per mantenere il controllo sul materiale traumatico emergente. L’esplorazione e l’integrazione dei ricordi traumatici può essere definita come una forma di terapia di esposizione che permette al paziente di trasformare i ricordi traumatici al fine di integrare le personalità o ottenere una interazione tra esse. I processi della seconda fase permettono di comprendere che le esperienze traumatiche appartengono al passato, di capire il loro impatto sulla propria vita, di sviluppare una più completa e coerente storia personale e senso del sé. A tal fine vengono utilizzate: la ristrutturazione cognitiva delle esperienze traumatiche e il riconoscimento delle risposte di adattamento che il paziente ha avuto durante quelle esperienze con il fine di contrastare la colpa irrazionale e la vergogna.
Nella terza fase i pazienti iniziano a fare esperienza di un senso del sé stabile e solido e di nuove sensazioni su come relazionarsi con gli altri e con il mondo esterno. Acquistano un senso di coerenza della propria storia che risulta essere anche collegato con i problemi che devono affrontare nel presente, iniziano a distogliere l’attenzione dal loro passato traumatico, direzionando la propria energia sul vivere il presente e sviluppare prospettive future.